Lavoratori poveri in Italia: le 5 proposte del Governo per aiutarli

Quanti sono i lavoratori poveri in Italia? Quali sono le cause? Ecco un’analisi della situazione con le 5 proposte del Governo per aiutarli

persone, lavoratori

Il fenomeno dei lavoratori poveri in Italia rischia di essere fuori controllo secondo le stime dell’ultimo tavolo di confronto aperto dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

In Italia l’11,8% dei lavoratori si trova in condizioni di povertà, a fronte di una media europea del 9,2%, mentre un quarto dei lavoratori italiani, pur non raggiungendo livelli di povertà, ha una retribuzione individuale particolarmente bassa, ovvero inferiore al 60% della media.

Per contrastare il fenomeno dei lavoratori poveri in Italia e invertire la rotta, il Governo ha deciso di puntare su 5 proposte che vi spieghiamo in questo articolo, dopo aver analizzato l’attuale scenario sociale.

LAVORATORI POVERI IN ITALIA, CHI SONO

I lavoratori poveri o working poors o in-work poors non possono essere definiti in modo univoco. Secondo l’indicatore adottato dall’Unione Europea, un individuo è considerato in-work poor (IWP) se dichiara di essere stato occupato per un certo numero di mesi (solitamente sette) nell’anno di riferimento e se vive in un nucleo familiare che gode di un reddito equivalente disponibile inferiore alla soglia di povertà stabilita, solitamente il 60% del reddito mediano nazionale.

Il concetto di lavoratori poveri comprende dunque due dimensioni:

  • la prima, individuale, connessa all’occupazione del singolo e a caratteristiche quali la stabilità occupazionale e salario del lavoro svolto;

  • la seconda connessa alla struttura demografica e alla composizione occupazionale del nucleo familiare stesso.

Per questo è necessario aver chiara la distinzione fra in-work poverty (povertà lavorativa) e low-pay worker, cioè occupato a bassa retribuzione. Nonostante possano sembrare strettamente collegati, i due concetti sono analiticamente diversi e la bassa retribuzione individuale è solo una delle possibili cause della povertà lavorativa.

Parlando di chi sono i lavoratori poveri in Italia infine, dobbiamo anche segnalare il cosiddetto “paradosso di genere”, in base al quale gli uomini sembrano più esposti a un rischio di povertà lavorativa in quanto unici percettori di reddito. Invece, le donne, seppure in media meno retribuite degli uomini e quindi maggiormente a rischio di bassa retribuzione, sono nella maggior parte dei casi “seconde percettrici” in nuclei con almeno un altro lavoratore.

QUANTI SONO I LAVORATORI POVERI IN ITALIA

In Italia, il fenomeno dei lavoratori poveri è più marcato che negli altri Stati europei. L’indicatore prodotto da Eurostat (l’ufficio europeo di statistica) e adottato dall’Unione Europea mostra che nel 2019, l’11,8% dei lavoratori italiani era povero, contro una media europea del 9,2%. La pandemia da Covid-19 ha presumibilmente esacerbato il fenomeno, esponendo a più alti rischi di disoccupazione chi aveva contratti atipici.

Inoltre, ha ridotto il reddito disponibile di chi ha avuto accesso agli ammortizzatori sociali e alle misure emergenziali introdotte per far fronte alle conseguenze della recessione. Poi, un quarto dei lavoratori italiani, pur non raggiungendo livelli di povertà, ha una retribuzione individuale particolarmente bassa, ovvero inferiore al 60% della media.

Ad analizzare tali dati per trovare un tipo di proposta che potesse risolvere il grave problema sociale, è stato un gruppo di lavoro del Ministero composto da economisti, statisti e esperti di politiche del lavoro.

LAVORATORI POVERI IN ITALIA, LE CAUSE

Il fenomeno della povertà lavorativa dipende da un insieme di fattori, in cui le dinamiche individuali si affiancano alla situazione familiare. Secondo gli esperti del Ministero, dipende anche dal fatto che la mancanza di lavoro qualificato, ben pagato e costante nel tempo, è strettamente legata alle dinamiche della domanda di lavoro e al contesto territoriale, economico e sociale. Considerate le due dimensioni, individuale e familiare, del fenomeno, il salario basso è quindi solo una delle componenti che possono determinare una condizione di povertà lavorativa.

La relazione del tavolo Governativo mette in evidenza come dietro l’aumento della povertà lavorativa degli ultimi 15 anni in Italia si nascondano, oltre ai salari stagnanti, altri fattori:

  • l’aumentata instabilità delle carriere;

  • l’esplosione del part-time involontario;

  • il diffondersi dei cosiddetti “lavoretti” a basso valore aggiunto;

  • cambiamenti strutturali quali l’aumento del peso dei servizi, più frequentemente caratterizzati rispetto alla manifattura da uno spezzettamento degli orari e dall’outsourcing di determinate attività.

I rischi di povertà sembrano inoltre strettamente collegati alla forma contrattuale, con un’incidenza maggiore nel lavoro autonomo rispetto al lavoro dipendente, alla continuità lavorativa nel corso dell’anno e al numero di percettori di reddito nel nucleo familiare.

LE 5 PROPOSTE DEL GOVERNO

Una strategia di lotta alla povertà lavorativa richiede una molteplicità di strumenti per sostenere i redditi individuali, aumentare il numero di percettori di reddito, e assicurare un sistema redistributivo ben mirato. Il gruppo di lavoro del Ministero ha scelto di concentrarci su:

  • due proposte predistributive, che agiscono, cioè, sui redditi di mercato;
  • una redistributiva;
  • due trasversali.

Le proposte sono di taglio generale (si potrebbero immaginare anche interventi a livello settoriale o locale) e microeconomico, cioè indirizzate a supportare i redditi individuali e familiari. Vediamole insieme.

1) GARANTIRE MINIMI SALARIALI ADEGUATI

Minimi salari adeguati sono una condizione necessaria (ma non sufficiente) per combattere il fenomeno dei lavoratori poveri tra i “dipendenti”. Nel caso italiano sono due le opzioni in discussione, ovvero quella di estendere i contratti collettivi principali a tutti i lavoratori oppure introdurre un salario minimo per legge. Le due opzioni sono dibattute da tempo e si scontrano con ostacoli politici e tecnici che da anni bloccano ogni avanzamento in materia. Per questo motivo, oltre a queste due opzioni, il Gruppo di lavoro ha elaborato una terza opzione che consenta una sperimentazione di un salario minimo per legge o di griglie salariali basate sui contratti collettivi in un numero limitato di settori.

Questa terza opzione, pur apportando solo una risposta parziale e non esente da problemi e complessità, permetterebbe di dare una prima risposta in quei settori in cui la situazione è più urgente mentre prosegue il dibattito sullo strumento più adatto a livello nazionale. A proposito di minimo salariale in Italia, vi consigliamo di leggere questo approfondimento. Vale anche la pena approfondire in questa pagina invece, le regole del minimo salariale in Svizzera.

2) RAFFORZARE LA VIGILANZA DOCUMENTALE

Una volta fissato un minimo salariale per via contrattuale o legale, è essenziale che questo minimo sia rispettato. Questa è una priorità anche con il sistema vigente. Al di là della fondamentale attività ispettiva, il Gruppo di lavoro ministeriale, infatti, considera cruciale potenziare anche l’azione di vigilanza documentale. Parliamo cioè di quella basata sui dati che le imprese e i lavoratori comunicano alle Amministrazioni pubbliche. Bisogna costruire indici di rischio a livello di impresa o settore per permettere un confronto sulle anomalie riscontrate. Poi, in caso di persistenza nel tempo, è bene studiare strategie di intervento soft oppure guidare la vigilanza ispettiva.

3) INTRODURRE UN IN-WORK BENEFIT

In Italia, solo il 50% dei lavoratori poveri percepisce una qualche prestazione di sostegno al reddito rispetto al 65% in media europea. In particolare, in Italia manca uno strumento per integrare i redditi dei lavoratori poveri, un in-work benefit (letteralmente “trasferimento a chi lavora”).

Tale benefit permetterebbe di aiutare chi si trova in situazione di difficoltà economica e incentiverebbe il lavoro regolare. Un in-work benefit in Italia dovrebbe assorbire gli “80 euro” (ora Bonus 100 euro per i dipendenti) e la disoccupazione parziale per arrivare a uno strumento unico, di facile accesso e coerente con il resto del sistema. Rientrano in tale discorso anche benefits come il Reddito di Cittadinanza, che vi spieghiamo in questo articolo, ma anche il nuovo Assegno Unico e Universale per i Figli su cui potete leggere questo approfondimento.

Sulla base delle esperienze internazionali, il trasferimento dovrebbe essere definito a livello individuale per non disincentivare il lavoro del secondo percettore. Inoltre, dovrebbe crescere fino a una certa soglia di reddito per poi stabilizzarsi e poi decrescere.

4) INCENTIVARE IL RISPETTO DELLE NORME E AUMENTARE LA CONSAPEVOLEZZA

A queste tre misure è possibile affiancare altre iniziative per incentivare le imprese a pagare salari adeguati. Ad esempio, con forme di accreditamento oppure di denuncia per chi, al contrario, non rispetta la normativa. Per i lavoratori, poi, servono strumenti e campagne per aumentare la leggibilità dei CCNL e dei vari strumenti di sostegno al reddito. Ciò per assicurarsi che i lavoratori che ne hanno bisogno possano avervi effettivamente accesso.

È importante, inoltre, un’adeguata e tempestiva informazione sulle prospettive pensionistiche, ovvero la cosiddetta “busta arancione”. Ciò per mettere in risalto i rischi derivanti dal cumulo di situazioni di svantaggio. Infine, un più facile accesso ai tanti dati che le Amministrazioni pubbliche (nazionali e locali) raccolgono nell’espletamento delle loro funzioni. Dovrebbero funzionare sul modello “VisitINPS”. Questo consentirebbe di promuovere la ricerca in materia e misurare l’effetto che strumenti diversi possono avere nel contrastare questo fenomeno.

5) PROMUOVERE UNA REVISIONE DELL’INDICATORE UE DI POVERTÀ LAVORATIVA

L’indicatore di povertà lavorativa utilizzato dall’Unione europea esclude i lavoratori con meno di sette mesi di lavoro durante l’anno. Poi presuppone un’equa condivisione delle risorse all’interno della famiglia. Così facendo, l’indicatore UE esclude i lavoratori che sono probabilmente tra i più esposti al rischio di povertà. Ciò poi, non permette di identificare se qualcuno è in grado di avere una vita decente con i propri guadagni. È opportuno, secondo il Gruppo di Lavoro ministeriale, promuovere in sede europea una revisione dell’indicatore. Sarà necessario, secondo gli esperti, estendere la platea di riferimento e prendere meglio in considerazione i redditi da lavoro individuali.

LA STRATEGIA DEL GOVERNO

Gli esperti infine, spiegano che le cinque proposte vanno considerato nel complesso. Nessuna di esse presa in isolamento è risolutiva. Poi, se non combinate con altre, alcune proposte rischiano di essere inefficaci. Ne è un esempio, la proposta di istituire un salario minimo senza controlli più stringenti. In altri casi, le proposte potrebbero essere – se prese da sole – addirittura dannose. Ne è un esempio, un in-work benefit senza minimi salariali adeguati e rispettati. Per tali motivi, secondo gli esperti nominati dal Ministero, bisogna agire valutando tutto lo scenario.

DOCUMENTI UTILI

Il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali ha messo a disposizione degli utenti lo studio condotto dai tecnici sul fenomeno dei lavoratori poveri in Italia su cui vi consigliamo di leggere la relazione (Pdf 1,34 Mb) e la relativa sintesi (Pdf 55 Kb). Inoltre, è anche possibile consultare le slides riassuntive della relazione del Gruppo (Pdf 193 Kb) o vedere la video intervista del Ministro del Lavoro, Andrea Orlando, sul tema.

ALTRI APPROFONDIMENTI E AGGIORNAMENTI

Per conoscere l’attuale situazione normativa sul salario minimo in Italia vi consigliamo di leggere questo articolo. Se volete invece, conoscere la nuova legge sulla parità salariale, è opportuno consultare questo approfondimento. Per avere notizie invece, sugli aiuti per i lavoratori e le famiglie messi a disposizione del Governo o gli Enti locali, vi consigliamo di consultare la nostra sezione. Vi invitiamo anche ad iscrivervi alla nostra newsletter gratuita per ricevere tutti gli aggiornamenti e al canale Telegram, per leggere le notizie in anteprima.

di Valeria C.
Giornalista, esperta di leggi, politica e lavoro pubblico.
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