L’ambiente di lavoro stressogeno (che genera stress) è responsabilità del datore di lavoro, quindi dell’azienda. A dirlo è la Corte di Cassazione.
Secondo gli Ermellini, il datore di lavoro commette una violazione se, anche colposamente, consente il mantenersi di un ambiente stressogeno, fonte di danno alla salute dei lavoratori.
In questo articolo vi spieghiamo cosa ha stabilito la Corte di Cassazione circa la responsabilità del datore di lavoro in merito a un ambiente di lavoro stressogeno.
AMBIENTE DI LAVORO STRESSOGENO, L’ORDINANZA DELLA CASSAZIONE
Con l’ordinanza n. 28959 del 18 ottobre 2023, la Corte di Cassazione ha ribadito che l’ambiente di lavoro stressogeno è una responsabilità dell’azienda.
Ovvero, i giudici hanno chiarito, ancora una volta che, nel contesto della responsabilità del datore di lavoro per i danni alla salute dei dipendenti, anche in assenza di un comportamento identificabile come “mobbing sul lavoro” per mancanza di intenti persecutori, è comunque possibile individuare una violazione dell’articolo 2087 del Codice civile.
Questa violazione può verificarsi quando il datore di lavoro, anche accidentalmente, permette la persistenza di un ambiente lavorativo stressante, causando danni alla salute dei lavoratori.
Allo stesso modo, la violazione può sussistere se vengono adottati comportamenti che, pur non essendo di per sé illegali, possono generare disagio o stress. Ciò vale, sia singolarmente che in connessione con altri comportamenti non conformi, che contribuiscono ad aggravare gli effetti e la gravità del pregiudizio sulla personalità e la salute.
Ma vediamo i dettagli dell’ordinanza n. 28959 del 18 ottobre 2023.
RESPONSABILITÀ DEL DATORE DI LAVORO PER DANNO ALLA SALUTE
Il datore di lavoro che anche colposamente (cioè non con volontà di nuocere, ma per negligenza) lascia attivo un ambiente di lavoro stressogeno può incorrere in responsabilità. Ciò in quanto consente di arrecare danno alla salute dei lavoratori.
La Corte di Cassazione ha specificato che questa norma vale per tutti i comportamenti in grado di causare disagio o stress, isolatamente o in connessione con altre azioni non conformi. Insomma, vale per ogni cosa che va ad aggravare il danno sia per la personalità, che per la salute in senso ampio, e sia che ad agire sia un gruppo o il singolo nei confronti del danneggiato.
IL CASO SPECIFICO
Nel caso preso in esame dalla Cassazione, i testimoni hanno riferito che la direzione dell’ufficio era stata informata ripetutamente sui gravi comportamenti pregiudizievoli.
Pertanto, la responsabilità del datore di lavoro non poteva essere negata. Questa responsabilità si esprime sia nella “mancata tutela” della lavoratrice in conformità con l’articolo 2087 del Codice civile, sia attraverso azioni dirette che hanno contribuito a degradare la sua posizione lavorativa, come la privazione di mansioni e i continui spostamenti all’interno dell’ufficio.
OMISSIONE RICONOSCIMENTO CAUSA DI SERVIZIO
La Cassazione ha considerato anche l’omissione riguardo alla richiesta di riconoscimento della causa legata al servizio. Ciò si riferisce al fatto che il datore di lavoro o l’azienda non hanno intrapreso azioni o procedimenti volti a riconoscere che i danni o problemi di salute subiti dai dipendenti sono correlati alle condizioni di lavoro o al servizio svolto nell’ambiente aziendale.
Quando un dipendente ritiene che il proprio stato di salute sia stato compromesso a causa del lavoro, infatti, può presentare una richiesta di riconoscimento di questa causa al datore di lavoro o alle autorità competenti. Se questa richiesta non viene adeguatamente affrontata o ignorata, si tratta di un’omissione da parte del datore di lavoro nell’affrontare una questione importante legata alla salute dei dipendenti e al loro benessere.
Il riconoscimento della causa legata al servizio è significativo. Infatti, può comportare benefici per il dipendente, come indennizzi o cure mediche a carico del datore di lavoro o dell’assicurazione aziendale. Mentre l’omissione nel trattare questa richiesta può costituire una violazione delle leggi o regolamenti che disciplinano la sicurezza e la salute sul lavoro.
Ed è proprio ciò che la Cassazione ha riscontrato nel caso in esame nell’ordinanza n. 28959 del 18 ottobre 2023.
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