Contratto di lavoro a Tutele Crescenti: Decreto e Guida

Guida Gazzetta Ufficiale

Chi viene assunto oggi con un contratto di lavoro a tempo indeterminato deve sapere che il suo rapporto di lavoro seguirà le norme del Contratto di lavoro a tutele crescenti che introduce una nuova disciplina sui licenziamenti.

Con la nuova normativa si è arrivati al superamento dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, tema tanto discusso dalle Organizzazioni Sindacali nell’ambito del Jobs Act.

Cosa prevede il nuovo contratto? Quando si applica? Cosa cambia rispetto al passato? Facciamo chiarezza su ogni aspetto con una Guida utile e rendiamo disponibile il testo ufficiale del Decreto Legge.

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DA QUANDO E’ IN VIGORE? 

Il Consiglio dei Ministri del 20 febbraio 2015 ha approvato il Decreto Legislativo n 23/2015 che contiene disposizioni in materia di Contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge n. 183 del 2014. Il Decreto è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.54 del 6 Marzo 2015. L’entrata in vigore avviene dal giorno successivo alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, per questo il contratto a tutele crescenti è in vigore dal 7 Marzo 2015.

Il nuovo contratto si applica ai lavoratori che sono stati assunti a tempo indeterminato dopo l’entrata in vigore del decreto, mentre per i lavoratori assunti prima restano in vigore le norme precedenti. Esistono tuttavia delle eccezioni, vediamole nel dettaglio.

CAMPO DI APPLICAZIONE

Il contratto a tutele crescenti si applica esclusivamente ai lavoratori assunti con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato (non si applica alle assunzioni a tempo determinato o a qualsiasi altra forma di rapporto di lavoro) che rivestono la qualifica di operai, impiegati o quadri (sono esclusi quindi i dirigenti) indipendentemente che l’azienda abbia più o meno di 15 dipendenti. 

Inoltre si applica anche in caso di conversione del contratto a tempo determinato o di apprendistato in contratto a tempo indeterminato se la conversione avviene dopo il 7 Marzo 2015.

La nuova disciplina sui licenziamenti si applica anche ai lavoratori a tempo indeterminato assunti prima dell’entrata in vigore del decreto solo per le imprese che a seguito di assunzioni a tempo indeterminato superino i 15 dipendenti dopo il 7 marzo 2015. In questo caso specifico la normativa si applicherà sia ai nuovi assunti che a quelli assunti precedentemente.

Di fatto dal 7 Marzo 2015 è in vigore un doppio regime in materia di licenziamenti: chi è stato assunto prima del 7 marzo farà riferimento al precedente regime normativo (a tutela piena ab origine), chi è stato assunto dopo il 7 marzo seguirà le regole previste dal contratto a tutele crescenti, salvo i casi specifici sopra precisati.

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COSA PREVEDE IL NUOVO CONTRATTO

Cosa cambia in termini pratici? Viene introdotta una nuova disciplina sui licenziamenti individuali e quelli collettivi nel caso di licenziamento illegittimo. Per ogni altra norma che non riguarda i licenziamenti non cambia nulla, si continua a fare riferimento alle leggi in essere. 

TIPI DI LICENZIAMENTI

Premettiamo che, se un datore di lavoro decide di licenziare un dipendente, deve fornire una motivazione del licenziamento. Il lavoratore può impugnare il licenziamento e sarà poi un giudice a decidere se il licenziamento è legittimo o illegittimo. Esistono tre tipi di licenziamenti:
discriminatorio: per ragioni di fede religiosa, credo politico, per disabilità, età, discriminazione razziale, di lingua, di sesso o altre forme di discriminazione;
disciplinare: è determinato da condotte gravi del lavoratore, tali da far ledere il rapporto di fiducia con il datore di lavoro (licenziamento per giusta causa);
economico: non dipende dalla condotta del lavoratore ma da ragioni inerenti all’attività produttiva all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa come crisi aziendali, outsourcing, riassetto organizzativo, problemi economici aziendali ecc. (licenziamento per giustificato motivo oggettivo).

Inoltre il licenziamento può essere individuale o collettivo. E’ individuale se riguarda un singolo lavoratore dipendente, mentre in caso di licenziamento di più lavoratori si parla invece di licenziamento collettivo, che ha una propria disciplina.

LE NOVITA’ INTRODOTTE

LICENZIEMENTO ECONOMICO E DISCIPLINARE 
Nel caso in cui si accerti un illegittimo licenziamento per motivi economici o disciplinari (licenziamento per giustificato motivo e giusta causa), il datore di lavoro non è obbligato a reintegrare il lavoratore sul posto di lavoro (sia che si tratti di una piccola impresa sia grande) però deve dare un risarcimento al lavoratore di un importo che cresce all’aumentare dell’anzianità di servizio, da qui il nome del nuovo contratto.

Infatti, perché si chiama “a tutele crescenti”? Perché i lavoratori in caso di licenziamento riceveranno un indennizzo (una somma in denaro) con tutele crescenti all’aumentare degli anni di anzianità. In particolare i datori di lavoro devono dare due mensilità per ogni anno di anzianità di servizio, con un minimo di 4 ed un massimo di 24 mesi. Quindi, anche se un lavoratore è stato assunto da poco tempo (ad esempio da un anno) l’azienda dovrà corrispondere comunque 4 mensilità (ossia lo stipendio di 4 mesi), che rappresenta il minimo previsto. 

Ricordiamo che con la normativa precedente in caso di impugnazione del licenziamento da parte del lavoratore il giudice poteva obbligare l’azienda a reintegrare il dipendente, con il contratto di lavoro a tutele crescente non è più così.

Esistono delle eccezioni. Esclusivamente nel caso di licenziamento per giustificato motivo soggettivo* o per giusta causa in cui in giudizio venga dimostrata l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore (il fatto non sussiste), il giudice annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro al reintegro del lavoratore e al pagamento di una indennità pari al numero di mensilità trascorse dal momento del licenziamento a quello del reintegro; il datore di lavoro dovrà versare anche i contributi previdenziali e assistenziali relativi allo stesso periodo. In ogni caso però l’indennità non può essere superiore a 12 mensilità. Inoltre per questo caso specifico il lavoratore può anche decidere di avere un indennizzo al posto del reintegro negli stessi termini previsti per il licenziamento discriminatorio spiegato di seguito. 

LICENZIAMENTO DISCRIMINATORIO nullo o intimato in forma orale
Il licenziamento discriminatorio è sempre illegittimo. Quindi se un giudice accerta che il licenziamento è avvenuto per una forma di discriminazione del dipendente, ordina al datore di lavoro il reintegro del lavoratore sul posto di lavoro e obbliga anche a dare un risarcimento del danno.

In particolare il lavoratore ha 30 giorni di tempo per decidere dopo la sentenza se incassare un indennizzo al posto del reintegro o optare per il reintegro + risarcimento. Se il lavoratore non riprende servizio entro 30 giorni e non segnala la scelta di optare solo per il risarcimento, il rapporto di lavoro si intende risolto. A quanto ammonta l’indennizzo nel caso di reintegro? Il risarcimento non può essere inferiore a 5 mensilità e per quantificarlo si parte dall’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto e si contano le mensilità dal giorno del licenziamento fino al giorno del reintegro.

Fermo restando il diritto al risarcimento del danno (che è comunque dovuto) il lavoratore può decidere di non tornare a lavorare ma di optare per una indennità che è pari a 15 mensilità. Con questa scelta ovviamente poi il rapporto di lavoro viene concluso.

Questa disciplina si applica sia ai casi di licenziamento discriminatorio sia ai casi di nullità del licenziamento previsti per legge, sia nel caso in cui il licenziamento sia stato intimato verbalmente e non in forma scritta.

Come si presenta di solito un licenziamento discriminatorio? Può accadere che l’azienda provi a licenziare un lavoratore segnalando una causa di tipo economico oppure disciplinare per nascondere invece un motivo diverso legato ad una forma di discriminazione (ad esempio per il credo religioso). E’ il giudice che dopo aver analizzato il singolo caso identifica il tipo di licenziamento e interviene per far applicare la legge prevista in casi di licenziamenti illegittimi.

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LICENZIAMENTI COLLETTIVI

In base al decreto, in caso di violazione delle procedure (art. 4, comma 12, legge 223/1991) o dei criteri di scelta (art. 5, comma 1), si applica sempre il regime dell’indennizzo monetario che vale per gli individuali (da un minimo di 4 ad un massimo di 24 mensilità).

In caso di licenziamento collettivo intimato senza l’osservanza della forma scritta la sanzione resta quella della reintegrazione, così come previsto per i licenziamenti individuali.

SINDACATI, PARTITI E PICCOLE IMPRESE

La nuova disciplina si applica anche ai datori di lavoro che svolgono senza fine di lucro attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione oppure di religione o di culto.

Per le piccole imprese la reintegra resta solo per i casi di licenziamenti nulli e discriminatori e intimati in forma orale. Negli altri casi di licenziamenti ingiustificati è prevista un’indennità crescente di 1 mensilità per anno di servizio con un minimo di 2 e un massimo di 6 mensilità.

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OFFERTA DI CONCILIAZIONE

In caso di licenziamento dei lavoratori, al fine di evitare di andare per vie legali, il datore di lavoro può offrire al lavoratore, entro i termini di impugnazione stragiudiziale del licenziamento, un importo di ammontare pari a una mensilità per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a due e non superiore a 18 mensilità, mediante consegna al lavoratore di un assegno circolare. Questa somma in denaro non costituisce reddito imponibile ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e non e’ assoggettato a contribuzione previdenziale.

L’accettazione dell’assegno da parte del lavoratore comporta l’estinzione del rapporto di lavoro alla data del licenziamento e la rinuncia alla impugnazione del licenziamento.

TESTO DEL DECRETO E RIFERIMENTI NORMATIVI

Per approfondimenti vi invitiamo a leggere attentamente il Testo del DECRETO LEGISLATIVO 4 marzo 2015, n. 23 (Pdf 34Kb). Mettiamo a disposizione anche:

LEGGE 10 dicembre 2014, n. 183 – Jobs Act Governo Renzi

LEGGE 20 maggio 1970, n. 300 – Statuto dei lavoratori

Per ogni altro approfondimento normativo, vi invitiamo a consultare le eventuali Leggi citate nel Decreto direttamente sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana.

* Il licenziamento per giustificato motivo soggettivo si presenta quando il lavoratore abbia posto in atto comportamenti disciplinarmente rilevanti del dipendente ma non tali da comportare il licenziamento per giusta causa, e cioè senza preavviso. Il giustificato motivo soggettivo pertanto rientra nell’ambito dei licenziamenti di tipo disciplinare.

© RIPRODUZIONE RISERVATA.
Tutti gli annunci di lavoro pubblicati sono rivolti indistintamente a candidati di entrambi i sessi, nel pieno rispetto della Legge 903/1977.

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